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Morire per difendere un amico, il cordoglio di AVIS Nazionale per la tragedia del giovane Willy a Colleferro

Morire per difendere un amico, il cordoglio di AVIS Nazionale per la tragedia del giovane Willy a Colleferro

Venti minuti. Una manciata quasi insignificante di tempo, una frazione quasi riflessa, un tempo breve per dare un orizzonte. Eppure, venti minuti a calci e pugni bastano per spezzare l’esistenza e le speranze d’un giovane. Per togliere e rubare una vita. La tragedia di Colleferro, un paese in provincia di Roma, ha generato un’eco di dolore, sconforto e sgomento che ha oltrepassato i confini non solo di ogni singola regione, ma dell’etica, della cultura sociale, dell’inclusione, della solidarietà. Ha aperto lo spazio a una riflessione non solo di cordoglio, ma soprattutto di costernazione e sconfitta per ciascuno di noi.

Willy Monteiro, 21enne di origini capoverdiane, è morto così, nella notte tra sabato 5 e domenica 6 settembre. È morto sotto i colpi interminabili e ingiustificabili dei suoi quattro aggressori: in quattro contro uno. La sua colpa? Quella di aver difeso un suo amico. Willy ha pagato il prezzo più alto per compiere il gesto più alto: quello di difendere chi, in quel momento, era più in pericolo di lui.

Quello che sconvolge in questa brutta storia che, inevitabilmente, avrà degli strascichi e non solo all’interno delle aule di tribunale, è l’assoluta, disarmante e frustrante gratuità dell’accaduto. La totale mancanza di cultura intesa nel senso più profondo del termine, cioè quello sociale. Non tanto la mole di libri studiati, ma l’assenza assordante di qualsiasi valore legato all’educazione, alla condivisione, al rispetto, all’inclusione sociale. Già, perché ironia della sorte ha voluto che Willy avesse un colore di pelle e un’origine diverse da chi lo ha usato come un pungiball durante un allenamento di MMA (la disciplina marziale tanto cara agli indagati per la sua morte).

Willy è stato suo malgrado la dimostrazione di quei principi che, da sempre, costituiscono la colonna portante del pensiero e del lavoro di AVIS e dell’intero mondo del volontariato: l’impegno disinteressato verso gli altri, la solidarietà, l’inclusione sociale, la cittadinanza attiva, l’educazione, il rispetto: «Quello che è avvenuto rappresenta a mio avviso una delle pagine più brutte della cronaca nazionale degli ultimi anni ed esprime la più preoccupante deriva di una società egoista che tende a chiudersi in recinti, muri e frontiere a difesa delle proprie debolezze e della propria decadente identità – commenta amareggiato il presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola – Da sempre, con ogni sforzo, noi di Avis ci impegniamo affinché le nuove generazioni siano più solidali e attente alle necessità della collettività, in primis dei propri coetanei. Al vivere in comunità secondo valori di condivisione, solidarietà e reciproco rispetto. Perché il diritto di cittadinanza discende da quello che si è, dalla propria umanità e non da ciò che si ha, non dall’etnia o dalla latitudine o dall’appartenenza sociale. Discende dall’essere individuo in facoltà di camminare su questa terra. La tragedia di Colleferro lascia un dolore enorme, un segno indelebile nei cuori e nelle menti di ciascuno di noi, che ogni giorno si rinnovano nel guardare le foto di Willy, sorridente gioioso e pieno di speranza, al suo banco di scuola. Il sorriso di chi amava la vita e sapeva quanto questa fosse preziosa: per questo l’ha sacrificata per difendere quella di un suo amico, per sottolineare e rimarcare il gesto, a volte scontato, della condivisione. Un esempio di valore etico e civile che, pur con tristezza, deve farci riflettere e agire affinché non avvengano più tragedie simili, affinché si comprenda che nessuna violenza o imposizione o logica della paura, rappresenta uno strumento di crescita sociale, che anche le parole e i gesti di odio e intolleranza alimentano lo scontro sociale, erigendo le diversità a muro e paura e non a opportunità. Solo attraverso i modi educati e il confronto si creano le condizioni di una umana convivenza. “Fatti non foste a viver come bruti…”… Torniamo alle ragioni della pacatezza e della mitezza, che non vuol dire essere remissivi, ma riempire la vita del coraggio dei valori per non renderla vuota a egoismi muscolari».